Lo spettro Xylella allunga la sua ombra sul comparto vitivinicolo. Non intacca le piante, ma può compromettere concretamente l’identità genetica del patrimonio viticolo salentino. Una preoccupazione concreta che il Consorzio di Tutela dei Vini D.O.P. del Salice Salentino condivide con i suoi circa 3000 viticoltori associati – produttori di uve destinate ai vini della DOC e dell’IGT Salento – e avvalorata dalla decisione europea di non rimuovere la vite dalla lista nera delle piante ospiti del batterio.
Nonostante risultati scientifici abbiano dimostrato l’estraneità della vite al contagio, al vaglio del Comitato Fitosanitario Permanente dell’UE ci sarebbe l’ipotesi di un’ulteriore estensione al blocco della commercializzazione delle barbatelle di Otranto di cui si riforniscono i viticoltori del Salento, inclusi gli associati del Consorzio del Salice Salentino.
“Le barbatelle idruntine sono di assoluta qualità con DNA assolutamente locale. Bloccarne la vendita è un danno economico enorme per i vivaisti e per noi vitivinicoltori. Ancora più preoccupante è il rischio di compromettere la biodiversità viticola del nostro territorio” – spiega Damiano Reale, Presidente del Consorzio del Salice Salentino – “Sono i viticoltori, infatti, a selezionare il materiale produttivo che il vivaista metterà a dimora per ottenere la barbatella. Considerando, però, che gli elementi di propagazione si trovano nelle zone infette, tra qualche anno avremo difficoltà a trovare barbatelle di Negroamaro, Malvasia Nera, Primitivo e altre varietà”.
Innegabile il danno attuale: da una parte l’indotto vivaistico idruntino – secondo polo italiano alle spalle del Friuli – con 800 posti di lavoro, 10 milioni di piantine e un giro d’affari complessivo di 20 milioni di euro in bilico; dall’altra i tanti viticoltori, tra cui molti soci del Consorzio, che hanno investito per mezzo dell’OCM Vino regolata dalla Regione Puglia e che, oggi, rischiano di perdere i benefici perché impediti all’acquisto delle barbatelle dai vivaisti di zona.
Allarme rosso, dunque, anche per il rischio sotteso di perdere il profilo di autoctonia su cui la viticoltura salentina ha costruito la sua immagine.