Nella quarta puntata della rubrica Le Sfide del Vino Pugliese, inaugurata in occasione del nostro servizio sul settimanale FAX per l’apertura della Fiera del Levante, abbiamo ascoltato il punto di vista di Giuseppe Cupertino, presidente FIS Puglia (Fondazione Italiana Sommelier) e head sommelier di Borgo Egnazia. Ecco l’intervista integrale.
In Puglia si ha l’impressione che ci si stia lasciando troppo andare a cercare sapori “costruiti” per andare incontro alle esigenze del mercato. È un bene o un male per la nostra regione?
«Mi sono ormai convinto da tempo che l’unicità della nostra terra, così come quella della nostra produzione enogastronomica, non può essere riprodotta in nessun altro luogo del mondo. Sarà questa la filosofia su cui muovere qualsiasi nostra azione di promozione e di sviluppo territoriale. Sapori e tradizioni devono essere espressi più naturalmente possibile così da lasciar impresso nella mente dell’ospite che viene a trovarci, un flashback sensoriale così intenso e lungo, da sentirne la mancanza appena andati via. Più sapori “costruiti”, invece, ci condurranno in una spirale di imitazioni, omologazioni e inevitabilmente, a una perdita di identità territoriale agli occhi del mondo».
La Puglia deve continuare la strada della valorizzazione dei propri vitigni o è giusto aprirsi a quelli non nostri come hanno fatto altre regioni?
«Assolutamente. Dobbiamo continuare a valorizzare i nostri vitigni autoctoni, per avere sempre più visibilità e peso alla nostra produzione di qualità. Un buon concetto di marketing è quello di costituire un sistema identitario ben preciso e promuoverlo al punto da ossessionare. Esempio è stato il Primitivo di Manduria, il Negroamaro, ma anche la curiosità del mercato per i nostri vitigni cosiddetti “minori” come il Susumaniello e il Minutolo. Siamo in una terra in cui la varietà e la qualità la fanno da padrona, non capisco perché imitare altre regioni che hanno secoli di storia in più rispetto a noi… e per soddisfare quali mercati poi, se sono già del tutto saturi?».
Giuseppe, un bilancio. Il vino pugliese è pronto al grande salto e a imporsi sul mercato nazionale e internazionale? Ed eventualmente di cosa ha ancora bisogno?
«Incontrando quotidianamente centinaia di ospiti provenienti da tutto il mondo, posso dire con certezza che il vino pugliese è conosciuto poco rispetto a quello di altre regioni italiane. Certo, se consideriamo che si è iniziata una reale opera di promozione solo da qualche decennio, possiamo già ritenerci soddisfatti dei grandissimi risultati raggiunti, ma dobbiamo convincere i nostri acquirenti che non siamo solo terra di abbondanza e di altissime rese, ma sappiamo anche essere produttori di grande qualità e di fine lavorazione. Smettiamola, inoltre, e su questo sono molto critico, di vendere fumo alla gente, perché alla lunga tutto si ripercuoterà contro noi stessi. Basta con gli “alberelli ultra…” che poi si rivelano essere spalliere, basta “rese ettaro bassissime” che poi scopriamo essere centinaia e centinaia di quintali ma soprattutto basta con la ricerca disperata della menzione “biodinamico o biologico” se questo deve servire per far lievitare gli acquisti… all’estero non ci crede più nessuno. La coerenza e la qualità pagano sempre».