«Umiltà, passione e sogno». Tre stelle Michelin e non sentirle. Perché è questa la ricetta perfetta, i tre principi fondamentali dai quali non bisogna mai allontanarsi secondo Massimo Bottura, il più blasonato e intellettuale tra gli chef italiani, il terzo al mondo secondo la classifica stilata dal The World’s 50 Best Restaurants, che ha presentato lunedì al Castello Carlo V di Lecce il suo libro “Vieni in Italia con me”.
«Per scriverlo ci ho messo più di vent’anni», dice lo chef dell’Osteria Francescana che abbandonò la carriera di avvocato voluta dal padre per rilevare una trattoria nel Modenese e dedicarsi alla cucina. «Mia madre cucinava sempre per tantissime persone – racconta – Sono cresciuto sotto il tavolo di casa sul quale mia nonna tirava la pasta la domenica. In controluce guardavo se la sfoglia era perfetta e rubavo i tortellini freschi. In quel momento mi sentivo al sicuro. Ho poi voluto seguire i miei interessi. Che sono diventati passione. I miei fratelli e mia madre mi spalleggiarono. Mio padre, uno tosto, non mi parlò più per due anni».
Bottura parla del suo percorso tra innovazione e tradizione, della sua lotta anti spreco, del suo rapporto con l’arte, della sua carriera. A partire dal dialogo scanzonato con Maurizio Cattelan, promotore inconsapevole di un principio di ribellione che nel tempo ha portato Bottura a rompere con la tradizione per aprire la strada a una nuova cucina italiana.
«La tradizione la vedo con distanza così posso percepire, analizzandola con chiarezza, il punto critico per poter portare il meglio del passato nel futuro. Non bisogna perdersi nella nostalgia ma analizzare in chiave critica. I tempi cambiano, la tradizione va rinnovata continuamente. Non la rivedo stravolgendola, ma gestendo le varie cotture e le materie prime. Le cose dove posso migliorarla. Devo rispolverarla continuamente, non posso lasciarla in una teca come al museo», dice lo chef dal palco della gremitissima sala Maria d’Enghien, intervistato da Antonio Tomacelli, editore di Intravino che insieme a DeGusto Salento ha organizzato l’evento presentato da Monica Caradonna e al quale ha partecipato anche il senatore Dario Stefano.
Il libro, di cui è disponibile anche la versione inglese “Never Trust a Skinny Italian Chef” (“Non fidatevi di uno chef italiano magro”, «una frase ironica, siamo chef, non prendiamoci troppo sul serio»), contiene 48 ricette classiche come “Il croccantino di foie gras”, “La millefoglie di foglie”, “La patata in attesa di diventare un tartufo”, “Una sarda che vuole diventare saraghina e trasformarsi in aringa”, tutte accompagnate da testi che svelano le ispirazioni, gli ingredienti e le tecniche di Bottura.
Una tradizione in evoluzione. Il bollito misto emiliano si trasforma nello skyline minimalista di Central Park e l’ossobuco assume i tratti essenziali di uno Ying Yang. E nascono quasi dal caso alcune delle sue creazioni, come “Oops, mi è caduta la crostatina”. Bottura ricorda ancora la preoccupazione di Taka, ex capo dei primi passato poi ai dessert della brigata dell’Osteria Francescana, «una grande squadra, degli eroi» (una quarantina i dipendenti per ventotto coperti). Taka fece cadere una crostatina appena preparata. Un dolce scomposto così bello e artistico che Bottura volle riprodurre esattamente com’era chiamandolo con un nome originale. «Perché così si vive la vita, lasciando spazio alla poesia».
Concetto che rivive in un altro piatto, “Le Cinque Stagionature di Parmigiano Reggiano”, la prima ricetta al mondo con un solo ingrediente. Bottura lo definisce un “quadro astratto dell’Emilia Romagna”. Dopo vari tentativi e sperimentazioni, galeotto fu l’incontro con Umberto Panini. «Mi disse “stai lavorando bene, ma devi mettere da parte il tuo ego e pensare di più al parmigiano”. Cambiò tutto. Ho voluto quindi rappresentare con quel piatto il mio territorio. L’Emilia è la nebbia, il latte crudo, l’alimentazione dell’animale, lo scorrere del tempo. Il nome di questo piatto è quasi una cantilena… 24, 30, 36, 40, 50 mesi di stagionatura. È il tempo che scorre lentamente», dice. Nasce così un demi-soufflé ottenuto da una forma di 24 mesi a cui viene aggiunta ricotta bio, una spuma derivata da un parmigiano di 30 mesi, una crema liquida ottenuta da uno di 36 mesi, una galletta croccante ottenuta dalle croste di un 40 mesi e un’aria originata da un brodo di croste di parmigiano speciale, quello di ben 50 mesi di stagionatura. Cinque differenti stagionature di Parmigiano Reggiano per cinque consistenze diverse in bocca.
Bottura cerca tra il pubblico giovani studenti della scuola alberghiera e dà consigli. «Con voi so che si può ripartire». E dice: «Ricordatevi che lo chef non è una rockstar. Lo chef svolge un duro lavoro, con un po’ di talento. C’è chi continua a dire “io voglio arrivare”, ma ci si arriva con il tempo. Bisogna prima conoscersi, evolversi, viaggiare. Il cibo deve essere un dialogo con il palato delle persone prima ancora che con il cervello». E parla di comunicazione. «È fondamentale. Pensate per esempio che non abbiamo ancora saputo spiegare al mondo cos’è l’Expo. Un luogo dove il cibo non viene solo prodotto, ma anche sprecato», dice raccogliendo i consensi e gli applausi del pubblico. Bottura sarà il protagonista di un evento-provocazione a Milano proprio durante Expo 2015 al quale contrapporrà il suo “Refettorio ambrosiano” in cui 40 cuochi da tutto il mondo si schiereranno contro gli sprechi alimentari riciclando gli avanzi dei padiglioni della fiera. «Cucineremo e reinventeremo gli avanzi gettati per eccesso da tutti i padiglioni, servendo piatti ricercati. Secondo i dati Fao 1,3 bilioni di tonnellate di cibo vengono buttate ogni anno», dice.
In “Vieni in Italia con me” c’è tutto questo. La sua attenzione per l’alimentazione («un piatto deve essere buono e sano») e il connubio cucina-arte. Bottura ricorda il gesto dell’artista dissidente cinese Weiwei che fece cadere a terra una preziosissima urna antica di duemila anni fa a dimostrazione che nuove idee e valori possono essere prodotti attraverso atti di iconoclastia, «duemila anni di generazioni passate attraverso un cervello contemporaneo». E ancora la musica e la sua storia in un racconto che è un invito alla riscoperta delle tradizioni del Bel Paese attraverso i suoi occhi, il suo stile e la sua filosofia.
«Non perdetevi nella vostra quotidianità – dice Bottura – L’Italia all’estero la adorano. Siamo noi che non la apprezziamo perché ci viviamo dentro. Facciamo qualche passo indietro, guardiamola a distanza e ci reinnamoreremo del nostro paese. Lo chef deve creare un cibo buono. Ci sono cuochi all’estero che fanno Mercedes, ma noi facciamo Ferrari».
All’evento è seguito un buffet in compagnia di Massimo Bottura alla Pescheria con Cottura di Lecce dove lo chef ha gustato gamberi crudi di Gallipoli che ha definito “tartufo bianco”, i salumi Santoro e tante altre prelibatezze pugliesi, tra cui pomodorini, peperoni essiccati sottolio e carciofini dell’azienda I Contadini, l’olio Le Ferre, pucce, orecchiette, ricottine e formaggi del Caseificio Lanzillotti, accompagnati dai vini di note cantine pugliesi, tra cui quella di Gianfranco Fino, di Severino Garofano, Antica Enotria, Tormaresca, Tenute Rubino, Cantine Due Palme, Cantine Paolo Leo, Castel di Salve, Rosa del Golfo, Greco, Conti Zecca, Vetrere, Castello Monaci, Valle dell’Asso, Agricole Vallone, Cantele e Michele Calò e Figli.