Olio Intini, l’oro verde pugliese che vince nel mondo

Pubblicato il 6 Mag 2014 da Simona Giacobbi

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Più informazione ed educazione al consumo dell’olio extravergine d’oliva. Per non lasciarsi ingannare dalle etichette e dare il giusto valore a un prodotto che purtroppo in Italia non viene così apprezzato come all’estero. Anche se le cose stanno cominciando a cambiare. E arrivano i primi segnali positivi.
Ne è convinto Pietro Intini, titolare dell’azienda che porta il suo nome. “L’unico sistema per fare chiarezza sull’olio è divulgare una corretta informazione ed educare il consumatore a riconoscere un olio di qualità, partendo dal proprio naso, dai propri gusti”. Da anni Intini apre le porte del suo frantoio al pubblico per un viaggio tra antiche macine in pietra e moderne tecnologie, degustazioni e visite guidate.
Il Frantoio Intini nasce nel 1928 ad Alberobello, nella Murgia Barese. Passione ed esperienza di quasi quattro generazioni – nell’azienda lavorava il bisnonno, poi il nonno che rilevò l’attività e quindi il padre di Pietro – hanno catapultato l’Olio Intini nell’enogastronomia d’eccellenza in Italia e nel mondo rendendolo una realtà di nicchia.
Di recente ha ricevuto dal Gambero Rosso il Premio Speciale come “Migliore Azienda” nella guida Oli d’Italia 2014, oltre a partecipare a numerosi concorsi nazionali in Europa, in Canada, in Giappone e negli Usa. Proprio di questi giorni il “Best of Class” che si è aggiudicato l’olio extravergine Picholine di Intini al concorso di Los Angeles. Pietro ci accompagna alla scoperta di tutti i segreti dell’oro verde di Puglia, dalla raccolta delle olive alla produzione e alla distribuzione sul mercato, anche estero.
Il frantoio si avvale di due moderne linee di lavorazione che permettono di produrre olio in assenza di ossigeno grazie all’inertizzazione di azoto. Una delle due più evoluta per la produzione di oli che vengono destinati anche ai concorsi. “I primi hanno prezzi più alti – spiega Intini – ma gli italiani spesso non ne capiscono il motivo. L’olio a differenza del vino viene visto più come un condimento. Nell’olio non c’è la parte edonistica che invece ha il vino. Per questo gli italiani non vogliono spendere. Invece l’estero è molto più attento. Quando ho cominciato a lavorare in questo settore la concorrenza dell’olio taroccato e scadente che l’importatore trattava era veramente forte. Ruotava tutto intorno al profitto. Ora sembra che gli importatori vecchio stampo stiano mollando la presa perché le spedizioni sono diventate più fruibili e perché si sta smuovendo la coscienza dell’olio buono”.
Intini utilizza i due impianti a seconda del tipo di oliva e dell’annata per ottenere prodotti più armonici o strutturati e robusti. I macchinari, entrambi di fabbricazione italiana, sono affiancati dal sistema tradizionale che secondo il produttore presenta alcune criticità ma che viene utilizzato solo su richiesta di qualche privato della zona legato ancora ai metodi di spremitura di una volta. “Questo processo di lavorazione è molto più lungo, circa 2-3 ore – spiega – L’olio, invece, ha bisogno di velocità nel tempo di trasformazione. Uno dei nemici dell’olio è proprio l’aria. Più l’olio si ossida, meno polifenoli saranno all’interno e meno profumato sarà. Inoltre può andare incontro al problema dell’irrancidimento. I fiscoli del sistema a pressione sono un ricettacolo di cattivi odori. La macina è un altro punto critico. La contaminazione e la lunghezza del processo fanno perdere all’olio le sue qualità e i polifenoli che si disperdono nell’aria impoverendo il prodotto”.
Le nuove tecnologie hanno dato una svolta importante, a partire dal fattore tempo. “Dalle tre ore si passa a un’ora, fino a mezz’ora con la nostra ultima linea di trasformazione”.
Si parte dallo stoccaggio e dalla pesatura delle olive che vengono defogliate e lavate.
La campagna registra un picco di produzione nella seconda-terza settimana di novembre. Può variare da 100 quintali di olive fino a 700-800 quintali al giorno. L’azienda utilizza cultivar in via di estinzione – come la Cima di Mola, presente solo nella zona di Mola di Bari, Conversano, Putignano, Polignano, Fasano – e cultivar minori come picholine, leccina, coratina e olivastra.
La pasta di olive passa nei miscelatori, viene preparata per 30-40 minuti. Una fase importantissima e molto delicata del processo di lavorazione in cui si rischia addirittura di rovinare l’olio. In questa fase si può scegliere tra lavorazione a caldo o a freddo: 28 i gradi che per legge permettono di ottenere la dicitura “estratto a freddo”. “Ci sono aziende che lavorano l’olio a 50 gradi – ricorda Intini – Più aumento la temperatura più è il tempo di gramolazione e maggiore è la quantità di prodotto che estraggo”.
Ma a discapito della qualità. “Per la spremitura a freddo si utilizzano le presse con tutti i problemi che questo sistema comporta. Un olio di qualità viene fatto con estrazione a freddo e non spremitura – differenza che Intini tiene a sottolineare – Il consumatore, quindi, deve imparare ad affidarsi al proprio naso. Non sempre l’olio prodotto in un frantoio di paese è di qualità. Per esempio alcuni conservano le olive una settimana o addirittura dieci giorni. Ma già dopo il terzo giorno sviluppano muffe con conseguente effetto di riscaldo, rancido e avvinato nell’olio. Difetti che in un extravergine non ci devono essere”.
La pasta di olive passa quindi nella centrifuga verticale. L’olio viene spinto tramite pompe in un seminterrato buio, dove viene conservato in serbatoi di acciaio inox da 80 quintali a temperatura di 5-7 gradi d’inverno e 15 gradi d’estate.
La seconda macchina lavora per estrazione consentendo di ottenere oli con un profilo sensoriale più delicato e dalle basse percezioni di amaro e piccante. Il delicato processo, svolto interamente in assenza di ossigeno, viene infine completato da una sofisticata linea di imbottigliamento con l’immissione di una piccola quantità di gas inerte.
Alcune impurità si possono vedere anche a occhio nudo in alcune bottiglie nella grande distribuzione. Come ci si può difendere? Intini invita a prestare sempre la massima attenzione e a fidarsi soprattutto del proprio naso e dei propri occhi: “La parte torbida è data da particelle d’acqua, umidità in sospensione o polpa invisibile. Nell’immediato non cambia l’olio ma a lungo andare, conservato in ambienti non idonei, prima precipita poi fermenta e trasmette cattivi odori”.

Giornalista professionista, laurea in lingue e letterature straniere e un master in Social Communication. Piacentina d’origine, pugliese d’adozione dal 2012, cresciuta a tortelli e gnocco fritto, impara a cucinare in Canada, a Toronto, dove ha vissuto sei anni e dove ha lavorato per il quotidiano italiano Corriere Canadese. Oltreoceano scopre una diversità culinaria etnica senza confini. Da allora la sua vita cambia. Cucina e ristoranti diventano luoghi interscambiabili di idee, progetti, tradizioni e passioni. Ama assaporare, provare, gustare. E fare foto. Conduce su Telenorba e TgNorba24 la trasmissione “I colori della nostra terra”, un programma che parla di ruralità, agroalimentare ed eccellenze enogastronomiche della Puglia. Ha collaborato con I Love Italian Food e il Cucchiaio d’Argento ed è spesso chiamata a far parte di giurie di eventi a carattere enogastronomico e di concorsi legati al mondo della pizza. Recensisce pizzerie per guide cartacee e online. Nel 2011 crea Pasta Loves Me, un blog che parla di lei, di pasta, food e lifestyle. È fondatrice e responsabile di Puglia Mon Amour, un’avventura che vive con gli occhi curiosi di turista e l’entusiasmo di un’innamorata per una terra che regala ogni giorno emozioni, genuinità e solarità. Ha la pizza napoletana nel cuore e tutto quello che rende felice il suo palato. E vive con una certezza: la pizza non le spezzerà mai il cuore.

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